Nazionale: Comandante De Rossi

Rassegna Stampa – Gazzetta dello Sport – Il contatto di fine corsa, al termine di un percorso dalla porta alla panchina in cui è scattato, ha allargato le braccia, è sfuggito alla morsa dei compagni, ha sorriso, urlato, mostrato la solita vena, è stato un testa a testa con Rino Gattuso, suo alter ego per filosofia di vita (dire sempre quello che si pensa, senza filtri, fregarsene delle convenzioni), non a caso unico altro barbudo della squadra. Proprio la barba è stata oggetto di approfondite analisi nelle cronache di ieri, un dibattito che ha scomodato anche l’antropologia: segno di maturità rispetto agli errori di gioventù di quattro anni fa, manifestazione di autorità nel gruppo, simbolo del potere all’interno della squadra. Ma anche, forse, immagine di un conflitto interiore. E allora come i barbudos cubani, Daniele De Rossi — sempre più simile a Romeo Benetti, ma meno randellatore — si raderà solo quando avrà vinto la sua guerra di liberazione: dai suoi incubi, dal fantasma di McBride, dai dolori del cuore e gli acciacchi del corpo. E la vittoria potrà coincidere solo con un altro Mondiale, questo davvero interamente suo. La maturità — questo sì un segno, tristemente degli anni che avanzano — è raccontata dai numeri.

Aggancio A 27 anni (li compirà il mese prossimo), Daniele De Rossi ha già raggiunto Francesco Totti in cima alla classifica dei romanisti a segno con la maglia azzurra, nove volte. E molto presto (in questo Mondiale se l’Italia avanzerà almeno fino agli ottavi) ne eguaglierà pure le presenze, 58. Alla fine della carriera, ci sarà un abisso tra lui e gli altri romazzurri. Lo sa anche Totti. “Sono davvero felice per Daniele — ha detto ieri dal suo blog —, si merita i complimenti di tutti. Ha giocato un’ottima partita e segnato un gol fondamentale. Anche lui è arrivato a nove realizzazioni e sono convinto che farà ancora molto bene con la maglia dell’Italia”.

Comandante… Se i calci di rigore oltre il 120’ valessero anche per le statistiche, da lunedì De Rossi sarebbe l’unico romanista ad aver segnato in due edizioni diverse dei Mondiali. «E invece quel gol, purtroppo, non sta scritto in nessuna statistica», ha detto Daniele qualche giorno fa. Forse non gli è rimasto nel cuore, e non gli è servito a risolvere quel conflitto interiore che oggi aspetta un’altro trionfo e il rasoio. Ma quel rigore terra-aria sparato sotto l’incrocio — « ’Mo buttace li guanti », disse a Barthez— avrà sempre il suo posto nel cuore di milioni di italiani. Che oggi attendono il corteo di una nuova impresa. Stavolta, con l’amore rivoluzionario e il piede liberatore del comandante De Rossi.

Bello di mamma, orgoglio di papà. Quando segna, per come gioca, per quello che dice. «Daniele ha una verve da attaccante — ha detto ieri Alberto De Rossi a Centro Suono Sport —: contro il Paraguay ha giocato bene, come il resto della squadra». E in riferimento alle polemiche sulle ultime dichiarazioni «sociopolitiche» del figlio, papà garantisce: «Sono contento che dica sempre quello che pensa. Gliel’ho insegnato io». Nella storia sono 29 i nazionali andati in gol da romanisti. Ma se consideriamo solo le fasi finali dei Mondiali, si riducono a nove: l’oriundo Enrico Guaita, detto Corsaro Nero, all’Austria nel 1934, il centrocampista Egisto Pandolfini e il centravanti Carletto Galli, Testina d’oro, al Belgio nel 1954, l’ala sinistra Paolo Barison al Cile nel 1966, Bruno Conti Mundial al Perù nel 1982, il Principe Giannini agli Stati Uniti (bellissimo) nel ’90, Gigi Di Biagio al Camerun nel ’98, Totti di rigore all’Australia quattro anni fa e De Rossi al Paraguay.

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