EDITORIALE. Torino – Roma: cronaca di un calcio che era e che non è più

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E’ un peccato non aver vissuto quel pezzo di Storia calcistica che inevitabilmente ha scolpito le ossa e i ricordi del complicato dopo Guerra. Povero ed ingrato. Ma nell’incertezza di un domani demolito dalle mitragliette e dai Dakota sorvolanti nei cieli, c’era chi vedeva nel Grande Torino una flebile speranza a cui aggrapparsi per dimenticare anche solo per un breve istante un dolore che non può essere raccontato su un pezzo di carta. Come Oreste Bolmida, un comune ferroviere nella vita quotidiana, ma pioniere del quarto d’ora granata allo stadio Filadelfia. Si, perché quando fischiettava nella tromba tre squilli, Valentino Mazzola si rimboccava le maniche della maglia, che in realtà maglia non era se non una cozzaglia di lana arruffata. E da lì in poi, chi non s’alzava in piedi sugli spalti, poteva anche tornarsene a casa, perché quei quindici minuti ricordavano ad ogni italiano d’esser fiero ed orgoglioso della propria terra e di sé stessi, nonostante le incessanti umiliazioni politiche.
Dico, perché tutto questo.
Perché tutto nasce in un Roma – Torino, 28 Aprile 1946. Prima dell’inevitabile sospensione del campionato, nella stagione che parte dal 1941 e termina l’anno successivo, la Roma conquista il primo scudetto della sua storia. Ma è un tricolore anomalo, ambiguo, vagamente surreale: il Nord fu preso d’assalto dai bombardamenti e tanti e tanti calciatori prestarono leva nell’esercito che, per la maggior parte, non avrebbe più rivisto un rettangolo di gioco. Alcuni si, ma in un campo di concentramento; altri nemmeno quello perché morirono con delle pallottole partigiane conficcate nel petto. E’ inutile nascondersi dietro ad dito, è la nostra personale e controversa storia. Accade allora che la Juventus sprofondi, il Genoa pure e il Torino che in quegli anni stava perfezionando Il Sistema – sì, proprio quello di Gustav Sebes applicato all’altra squadra che merita l’appellativo di Grande, ossia l’Ungheria – cada fragorosamente. Una giornata di Sole. Pieno. Acceso. Radioso. Il Circo Massimo che s’azzuffa per la prima volta e i bandieroni giallorossi a spezzare la monotonia delle nuvole bianche, i sorrisi caldi del popolo reso soddisfatto per aver battuto quel Torino.

Trascorrono quindi quattro anni fra un calcio giocato a singhiozzo e il cappio al collo a Mussolini, fra i carri armati sovietici ad Auschwitz e la rivoltella di Hitler. Il calcio riparte, e qua tutto prende forma.
Quindici minuti.
Sette a zero.
E’ il 28 Aprile 1946, la Roma viene disintegrata in briciole.
Di cosa stiamo parlando, ditemi. Cos’è tutto questo, se non storia di un altro gioco, di un’altra passione, probabilmente più comune, coinvolgente, a momenti quasi fraterna. Perché tutti in fondo tifavano un po’ Torino. Involontariamente il Grande Torino è diventato così metafora di un calcio moderno ma sepolto sotto le bandane insanguinate degli ultras. E oggi leggere e rivivere mentalmente quei ricordi sbiaditi da violenze solidamente mentali – oltre che fisiche – dà uno strano effetto. E’ l’epoca del calcio sciolto nella tortura verbale. Dissolto in ingiustizie che non fanno altro che alimentare un odio, che altrimenti non si radicherebbe nemmeno nelle vene di chi va allo stadio. Corroso nelle parole vaneggiate da sorrisi finti davanti alle telecamere.
A volte il silenzio dovrebbe fare da ossigeno a chi parla ma non pensa alle conseguenze, da una parte e dall’altra, senza distinzioni. E se un domani cinquantamila persone stipate in uno stadio, avranno la forza di cantare, di tifare insieme senza scadere in provocazioni inutili, allora il Grande Torino e quel calcio pulito, cameratesco, allegro, potrà sopravvivere alla morte.

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20 commenti su “EDITORIALE. Torino – Roma: cronaca di un calcio che era e che non è più”

  1. Io cmq l anno prox tra i pali voglio ice man handanovic….come secondo curci e come terzo marchegiani….curci e lobont a massaggiare le kiappe dei portieri titolari….iniziamo col mettere un nome importante tra i pali….e tutto il resto poi verra da se

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  2. Convinto che la juve sè venduta la partita.. Se puntavi 10€ sul parma ne vincevi 100.. Non esiste che abbiano perso contro una squadra già retrocessa..

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    • A pensar male. A pensar bene invece il Parma di questi tempi induce una riflessione profonda.
      Una squadra che fino al crack societario perdeva sempre è quasi sempre senza mai nemmeno giocarsela, da quando cammina sull’orlo del ritiro dal campionato sta facendo faville e non solo stasera.
      Ha fatto un paio di buoni innesti, varela ed il centrale (come ha fatto da fallita??), ma non credo che la spiegazione stia lì.
      In realtà la vicenda del Parma è l’ennesima dimostrazione che nel calcio le motivazioni (in questo caso quelle vere, di chi si mette in luce x un nuovo posto di lavoro e gioca in una società storica destinata alla cancellazione dal calcio che conta) fanno la differenza.
      differenza@Lupacchiotto161:

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      • Altra cosa impressionante della partita di stasera è la meravigliosa curva Parmense, gremita è caldissima difronte alla propria sqiadra che sta x finire in lega pro.
        Donandoni e i suoi, pubblico comoreso, stanno impartendo una grandissima lezione etica in un mondo, quello del nostro calcio, in cui l’etica sta normalmente confinata ar cesso.
        Applausi!!
        @derossimaancheno:

      • Su quelle ultime 4 righe ti straquoto.. Ormai il calcio non è altro che un business, le società di calcio sono delle aziende ormai.@derossimaancheno:

      • I giocatori del Parma dimostrano quanto siano opportunisti e figli di buona donna i calciatori.
        Eh si è comodo adesso darsi da fare in campo è conveniente per assicurarsi un nuovo ingaggio in qualche club blasonato, sempre più convinto che bisogna tifare solo la maglia e poca confidenza ai calciatori che fanno letteralmente schifo!

      • @sam5: Grazie 😉 Spero che sia passato il messaggio che non era tanto un elogio al Grande Torino, quanto all’affetto e al senso di comunità che esso dava a tutti i tifosi di calcio. Cosa che dovrebbe essere oggi e che invece il più delle volte non è.

      • @22.07.1927: Diciamo di si, in parte però. Perché non so una parola di greco in verità :mrgreen:

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